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Arezzo calcio: giocatori in sciopero per mancati stipendi

Continuano le difficoltà nel mondo del calcio, anche nel girone di Serie D che ci interessa da vicino.

 

Fonte: notiziariocalcio.com

 

Che i giocatori siano dalla parte della ragione, è un fatto. A nessuno che ha occhi per vedere è mai venuto il sospetto che una partita sia stata toppata per motivi diversi da quelli del campo. L’Arezzo ha vinto spesso, ha anche pareggiato e perso (due volte). Quando è accaduto, non c’entravano i soldi né il ritardo del bonifico né le promesse di pagamento a 30-60-90, anche se ora in giro ci sono soggetti che pagano pure a 120 se non di più. Ma è un altro discorso. A dicembre sono fioriti complimenti più che giustificati a una squadra che ha accettato di trattare la revisione in basso degli accordi presi in estate. Accordi, va detto, sottoscritti liberamente tra le parti. Non solo, tutti i calciatori alla fine sono rimasti a combattere per una causa che poteva pure appassire rapidamente. E in altri contesti, con altri protagonisti, ci sta che molti non si sarebbero nemmeno messi al tavolo a trattare. Qua è andata diversamente e senza scompensi. Dopo i tagli decisi dalla società, l’Arezzo ha giocato cinque partite: quattro le ha vinte e una l’ha pareggiata in rimonta. Per qualcuno vuol dire semplicemente aver fatto il proprio dovere. Più coerentemente, va chiamata professionalità.

La società è in una posizione di debolezza. Ha fatto carta straccia dei primi contratti e ne ha messi altri, più snelli, sotto il naso dei giocatori. Che hanno firmato. Magari perché sono contratti buoni lo stesso, o perché in giro non c’era di meglio, o quel che si vuole. Ma hanno firmato e il processo alle intenzioni non si può fare. Non solo, hanno giocato come se nulla fosse successo e hanno pure vinto. La società invece, dopo aver sforbiciato i compensi, ha rispettato la prima scadenza ma ha saltato la seconda. Il primo danno, in un contesto del genere, è quello più ovvio. Per fare calcio occorrono denari, per vincere i campionati idem. E per programmare un futuro consono alle ambizioni di una piazza come Arezzo, anche. Se i denari non ci sono, è impossibile andare avanti. Il problema, però, potrebbe essere questo come no. Le chiacchiere sulle divergenze di vedute tra i soci che detengono il 90 per cento delle quote, girano da un po’. Nessuno le ha mai confermate ma nemmeno smentite.

L’unica cosa certa è che prima si è ridimensionato il budget e adesso non si è versato un mensile. Stasera a Roma c’è una riunione per preparare il summit di domani con la squadra. Un chiarimento, se davvero ce n’è bisogno, non è più rimandabile, pena la paralisi più completa. Anche perché, e siamo al secondo danno (non meno pesante del primo), troppe volte ormai si parla dell’Arezzo per questioni politiche, sociali o economiche. Una volta lo sponsor, una volta le decurtazioni, una volta i ritardi: tutti schizzi di fango su una parete che avrebbe pure un bel colore. Riuscire a far passare in secondo piano l’aspetto tecnico per colpa di conti che non tornano, è veramente un paradosso folle.

Detto questo, va anche aggiunto che del comunicato stampa dei calciatori non se ne sentiva una grande mancanza. Spiattellare pubblicamente le magagne interne non è mai elegante e quasi mai porta benefici. Rimandare di 36 ore (non 360), cioè fino all’incontro di domani, una presa di posizione così drastica sarebbe stato meglio. Non avrebbe tolto nulla alla legittimità delle rivendicazioni della squadra ma avrebbe risparmiato all’ambiente e alla tifoseria due giorni di malumore, depressione e polemiche. Che poi le polemiche, in questi casi, finiscono sempre per colpire il mucchio indistintamente, senza distinzioni di sorta. Sarà sicuramente vero che di incontri fissati e disdetti ce ne sono stati diversi nelle scorse settimane, e che questo ha causato una logica insofferenza. Ma mettere tutto nero su bianco è un passo molto lungo, a meno che non si voglia veramente pensare che una squadra come l’Arezzo si sia sentita sola e sperduta negli ultimi giorni perché, tra la neve e la sosta, non c’erano dirigenti a osservarla da bordo campo, anzi da bordo palestra. I calciatori hanno ragione, è vero. Però, per salvaguardare una causa comune, anche la ragione va maneggiata con cura piuttosto che brandita come una clava.

 

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