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Rottura tra il capitano Ada Puliti e la Ceprini. La giocatrice lascia la squadra, il saluto ai tifosi

Raccontare di un fulmine a ciel sereno non è mai semplice e raccontare della rottura tra il capitano Ada Puliti –  4 stagioni in Azzurra, le quattro più significative della storia del club della Rupe con ben due promozioni dalla B d’Ecc. alla A2 e dalla A2 alla A1 –  e la società del presidente Giampiero Giordano è ancora più complicato, se non impossibile.

Ada, playmaker originaria di Lucca, classe ’85, 174 cm., ha lasciato la Ceprini per “incomprensioni con l’allenatore e la società, e l’impossibilità di continuare quindi a lavorare serenamente” queste le parole che ci ha affidato quando l’abbiamo raggiunta telefonicamente. Capitan Puliti ci ha raccontato di un periodo, quest’ultimo, passato per lo più in panca, passato per lo più a cercare un dialogo con coach Valentinetti il quale, almeno stando a quanto Ada racconta, non avrebbe fatto alcun passo verso di lei.

E nessun passo verso Puliti lo avrebbe fatto nemmeno la società, almeno stando a quanto da lei riferito – al momento non abbiamo una versione ufficiale poiché nessuno tra addetto stampa, team manager, direttore sportivo e lo stesso coach ha risposto alle nostre chiamate spiegandoci ufficialmente l’accaduto – così Ada ha deciso di lasciare la squadra.

Per il momento Puliti si allena a Viterbo, accolta a braccia aperte da coach Scaramuccia, con il quale continuerà a tenersi in forma in attesa – siamo certi non mancheranno – di qualche nuova offerta da parte di qualche club anche se, e ce lo ha detto proprio lei, Orvieto è ormai la sua città e le dispiacerebbe davvero molto dover traslocare.

Proprio per il grande affetto che Ada nutre nei confronti della città, di tutti i tifosi e dei tanti amici che l’hanno seguita sempre con grande interesse ci ha affidato una sua lettera di saluto che volentieri pubblichiamo di seguito.

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“Comincio  così:  non  faccio  più  parte  della  squadra  della  Ceprini  Costruzioni  Orvieto.     Ho  pensato  tanto  se  scrivere  o  no  queste  righe,  perché  quando  si  arriva  al  punto  in  cui  una  giocatrice   lascia  una  squadra,  sembra  sempre  che  ci  sia  da  salvare  la  faccia  da  una  parte  e  dall’altra,  che  tutto   debba  passare  inosservato,  tra  chi  ti  consiglia  di  andare  e  non  dire  una  parola,  e  chi  ti  dice  che  devi   accordarti  con  la  società  e  dichiarare:  “il  rapporto  s’interrompe  consensualmente  per  problemi  con   l’allenatore”.

Io,  sinceramente,  non  so  cosa  sia  meglio  fare  e  non  riesco  ad  elaborare  ‘strategie’  di   nessun  tipo.  Sono  sempre  stata  fuori  da  ogni  logica  cestistica  che  comportasse  procuratori,  movimenti   di  mercato,  contratti,  stipendi  e  clausole.  E  non  mi  metterò  nemmeno  a  sparare  a  zero  su  questo  e  su   quello  perché  non  solo  non  mi  appartiene,  ma  lo  ritengo  il  modo  peggiore  per  concludere   un’avventura.

La  verità  è  che  ho  sempre  giocato  a  pallacanestro  perché  è  l’unica  cosa  che  mi ha  lasciato   mio  padre  e  perché  avrei  voluto  che  mi  vedesse  esordire  nella  massima  serie  con  il suo  numero  di   maglia.  Niente  di  più  e  niente  di  meno.  Ho  sempre  creduto  che  i  rapporti  umani  e  il  gruppo,   l’attaccamento  alla  maglia  e  alla  città  rappresentassero  ciò  che  fa  la  differenza,  quello  che  davvero  ti  fa   vincere  campionati  interi.  Che  realmente  si  possano  superare  i  propri  limiti  buttando  in  campo  tutto  il   cuore  che  si  ha.  Sono  alta  170  cm,  non  ho  doti  tecniche  e  fisiche  devastanti:  se  sono  arrivata  ad  Orvieto   che  giocavo  in  Serie  B  e  me  ne  vado  da  capitano  in  Serie  A1,  forse  lo  devo  soprattutto  a  questo.

Credo  nel  ruolo  da  capitano  di  una  squadra  e  so  di  averlo  usato  sempre  al  meglio  delle  mie  possibilità:   non  so  perché  mi  è  stato  ripetuto  per  settimane  di  pensare  ai  miei  20’  di  media  quando  dicevo  che   c’erano  cose  che  oltrepassavano  il  rispetto  per  le  persone,  atteggiamenti  che  neanche  la  più   mercenaria  delle  giocatrici  si  merita,  e  che  non  si  nascondono  dietro  a  tre  vittorie  di  fila.  Non  so  perché   non  mi  sia  stata  data  nemmeno  la  possibilità  di  svolgere  esclusivamente  il  mio  compito  da  giocatrice   professionista  facendomi  diventare  trasparente.  E  perché  tutto  questo  debba  passare  come  un  qualcosa  nella  norma,  che  tutti  fanno  e  che   riguarda  due  o  tre  giocatrici,  punto.  Non  credo  avrò  mai  l’intelligenza  necessaria  per  capire  tutto  ciò.

Ma  quello  di  cui  sono  consapevole  è  di  aver  dato  tutto  in  questi  quattro  anni  passti  ad  Orvieto,  come   giocatrice,  capitano,  persona.  Forse,  di  aver  dato  una  mano  anche  più  di  quanto  mi  competesse.     Ho  vinto  il  mio  campionato  in  campo,  ho  vinto  il  mio  campionato  fuori.  E  lo  vedo  dalla  signora  delle   pulizie  del  PalaPorano  che  si  commuove  al  momento  dei  saluti,  così  come  il  signor  Perali;  dal   giornalaio  che  mi  ferma  per  le  strade  del  centro  e  mi  dice  che  tifa  per  me  da  sempre;  dal  signor  Biagioli   che  mi  riteneva  adottata  dall’Orvieto  Basket  e  dalla  giovane  della  squadra  che  si  tatua  una  frase  dei   miei  discorsi  preallenamento.  Meglio  e  più  di  tutto  questo,  non  potevo  chiedere.

Ringrazio  tutti  quelli   che  mi  hanno  tifato,  sostenuto,  fatto  sentire  una  giocatrice  vera  e  che  mi  hanno  fatto  capire  che  non  si   deve  smettere  di  credere  in  tutto  ciò.     Orvieto  sarà  sempre  una  parte  di  me.

Un  abbraccio     Ada  #7   ”

 

 

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