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L’Ultra-trail. Corsa estrema a contatto con la natura. Alla Eco trail di Attigliano c’era Francesco Fredro

Non è una disciplina molto nota, ma non si può certo affermare che non sia affascinante. E’ l’Ultra-trail: una corsa simile alla maratona, con la differenza che è assai più lunga dei tradizionali 42 km e 195 metri, una corsa che si svolge lungo percorsi impervi e con pendenze che farebbero sbuffare di fatica pure qualche ciclista professionista.

L’Ultra-trail (in italiano traducibile letteralmente come: “ultra-sentiero”) è una specialità della corsa a piedi svolta normalmente in ambiente naturale, per lo più in montagna, con dislivelli positivi e negativi importanti, un chilometraggio elevato e limitati posti di ristoro. Nonostante i numerosi tentativi, non esiste una definizione universalmente riconosciuta di ultra-trail, né in termini di distanza né in termini di dislivello. Si può comunque considerare ultra un percorso che superi i 65–70 km con un dislivello positivo di almeno 4.000 metri.
In questo tipo di competizioni non vince solo la velocità ma anche e sopratutto la resistenza e la mente di chi partecipa, dato che i tempi di gara di un atleta medio possono andare dalle 15 alle 40 ore. Un impegno durissimo che mette a dura prova tutto il corpo, una sfida che porta l’atleta a superare ogni volta i propri limiti cercando forza e motivazione dentro se stesso.

Fra gli ultra-trail più affascinanti sicuramente c’è il Gran Raid du Cro-Magnon, una gara di circa 104 km, con 5.400 metri di dislivello positivo e 6.400 metri di dislivello negativo. Un’altra gara di grande blasone, che tra l’altro si fregia di avere l’esclusiva sul “marchio” ultratrail, è l’Ultra-Trail du Mont-Blanc: il percorso si snoda per 168 km nelle valli attorno al Monte Bianco ed assomma circa 9.000 metri di dislivello sia in positivo sia in negativo.

Lo scorso fine settimana, sabato 3 e domenica 4 ottobre, si è corsa in Umbria la 4a edizione della Eco Trail “Le vie di San Francesco”. La competizione, valida per l’acquisizione di punti nel circuito UltraTrail Italia, ha visto al via di Attigliano circa 100 partecipanti divisi nei tre percorsi proposti, il lungo (124 km. 5600 mt. di dislivello, 95% fuoristrada, 12 comuni da attraversare), il medio (66 km. 2800 mt. di dislivello, 95% fuoristrada, 9 comuni da attraversare), il breve (26 km.).

Tra i partecipanti all’appuntamento trail di Attigliano c’era anche l’orvietano Francesco Fredro, che insieme al compagno di squadra Piernicola Meloni, entrambi del Team ligure Endurance, ha portato a termine la gara (in questo sport non è importante il posizionamento ma l’aver concluso la prova, condizione indispensabile per ottenere i punti circuito) grazie ad un allenamento costante e durissimo. Fredro, giovane avvocato orvietano, sposato e padre di un figlio, ci ha raccontato di seguire uno scrupoloso calendario di allenamento, un rigida autodisciplina che gli permette di affrontare questo tipo di gare estreme.

Francesco raccontaci come è andata
“Per portare a termine la gara ho impiegato circa 27 ore, il tempo esatto sarà nella classifica che sarà pubblicata prossimamente. E’ stata una gara durissima con molti ritirati. 124km e 5.700 metri di dislivello positivo. Ho corso con il Team Endurance A.S.D. insieme al compagno di squadra Piernicola Meloni. Ci siamo classificati rispettivamente 47 e 48 su 80 corridori.”

Spiegaci come è organizzata una corsa del genere e qual è l’equipaggiamento richiesto
“Come ti ho detto si tratta di gare durissime, in Italia il circuito Trail Italia raggruppa le gare di maggior livello e assegna dei punti al compimento della prova, alcune gare possono essere affrontate solo se nell’anno precedente si è realizzato un certo punteggio ad esempio per iscriversi all’Ultra-Trail du Mont-Blanc sono necessari 9 punti, per la Lavaredo 3. In genere le gare hanno un tempo limite per il compimento ad esempio 30 ore massimo, hanno vari punti ristoro lungo il percorso punti spesso assistiti anche da personale medico e dei cancelli orari posizionati a vari step in modo da essere garantita la sicurezza dei partecipanti. Una delle regole fondamentali del trail è che se vedi o incontri un collega in difficoltà ti devi fermare a soccorrerlo attendendo con lui l’arrivo dei sanitari. Sono corse in cui l’importante è esserci, e finire la gara, il posizionamento di arrivo non ha molta importanza. Come ti dicevo si tratta di gare durissime che mettono a dura prova mente e corpo, per affrontarle ognuno ha la sua tecnica, e il suo andamento di gara, importante è l’adattamento ad ogni cambio climatico (spesso si inizia a 20 gradi e si sale in montagna magari a pochi gradi e poi si torna in pianura) e essere pronti a qualsiasi inconveniente compresi i malori che in una gara lunga ed estenuante spesso la fanno da padroni. Capogiri, mal di testa, di stomaco, problemi intestinali sono i più frequenti, ma anche problemi muscolari e cali minerali. Per far fronte a tutto questo è obbligatorio avere con sé un equipaggiamento dove alcune cose sono obbligatorie e vengono controllate alla partenza tipo il fischietto, un telo termico, scarpe adatte al trail, almeno un litro e mezzo di acqua (i rifornimenti si possono fare ai punti ristoro), una lampada frontale (spesso specie nei tracciati più lunghi si sta fuori la notte), un cellulare carico. Da segnalare che l’ultra trail è uno sport seguito e praticato anche dalle atlete che spesso hanno una resistenza maggiore degli uomini.”

E l’abbigliamento in cosa consiste?
“Trattandosi di gare molto lunghe e con grossi dislivelli si deve essere pronti a qualsiasi condizione meteo, quindi occorre avere con sé indumenti utili allo scopo. E’ inutile che ti dica che meno peso porti sulle spalle e più si va spediti.”

Hai detto che è fondamentale l’allenamento. Raccontaci il tuo metodo di approccio alle gare
“Faccio allenamenti settimanali di 6/7 ore, un’ora al giorno, ogni due settimane allungo a due ore, allungo poi progressivamente fino a allenamento di 6/7 ore. Faccio due o tre gare l’anno e mi alleno indossando tutto quello che mi serve nella gara reale, cercando di affrontare sia il caldo che il freddo, per cui spesso capita di vedermi transitare per Porano con lo zaino in spalla, attrezzato di tutto punto, ecco mi sto allenando.”

E dal punto di vista dell’alimentazione come si affronta una gara del genere?
“Ognuno la affronta in modo alimentare come è abituato, ad esempio ci sono anche corridori che nelle soste mangiano un bel panino con il salame. In genere è sempre bene avere con sé delle barrette energetiche e del gel energetico perché in ogni momento potrebbe essere necessario integrarsi (e mai gettare carte e involucri in giro!). Da qualche tempo seguo una alimentazione vegana e vegetariana e devo dire di trovarmi molto bene.”

Ma come sei arrivato a questo tipo di sport?
“Lo sport mi è sempre piaciuto, ho praticato per qualche anno la boxe. Inoltre uscivo spesso in mountain bike, purtroppo nel 2013 ho avuto un brutto infortunio e con la bici ho dovuto smettere. Allora ho cominciato a correre nei posti dove in genere andavo in bici. Pian piano mi sono avvicinato a questo sport e ho trovato la mia dimensione. E’ uno sport che ti porta a contatto con la natura ma anche con la tua natura, spesso sei solo, solo con te stesso e con i tuoi limiti, è una sfida che ti mantiene vivo, attento, concentrato sull’obiettivo.”

Uno sport che – come afferma la leggenda vivente della specialità, Marco Olmo, 60 anni, ex operaio – nella solitudine delle colline e delle montagne, restituisce un po’ se stessi, poiché “le lunghe distanze separano. Allontanano. Ti restituiscono la magia della tua singolarità. È in quei momenti che la noia torna a essere quello che è: un concetto astratto, buono per chi non insegue una meta. Uno stato d’animo per vite senza scopo”.

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