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Storie di casa nostra. Fabrizio Tafani, preparatore del Palermo e castiglionese doc

C’era una volta un ragazzo che coltivava il suo sogno, che vestiva in jeans “calati”, che portava a tracolla la borsa verde militare con i libri di scuola, che giocava la schedina durante l’ora di matematica e cantava Albachiara nell’ora di religione. Ti guardava con i suoi occhi scanzonati e con quel suo sorriso irriverente, da bullo. Faccia da schiaffi per chi non lo conosceva; grande cuore per gli amici veri. Fabrizio Tafani per le cronache sportive; il Taffy per tutti noi. L’avevo perso di vista ai tempi delle scuole superiori e l’ho ritrovato grazie a una diretta Sky Calcio e a qualche social network. Vive a Palermo adesso, in una casa dalla cui finestra si vede il mare. Quello che è successo nel frattempo me lo racconta proprio lui.

Dal “cantuccio” a scuola nell’ultimo banco, ai riflettori dei massimi campionati professionistici italiani, passando per diplomi, lauree e lauree specialistiche. Raccontami tutto.

“Come immaginavo hai un memoria ferrea. La nostra classe la porto ancora nel cuore, forse perché legata agli anni più spensierati della nostra vita.  Una volta terminati gli studi in ragioneria, ho iniziato a lavorare, ma intorno ai 23 anni, ho avuto la sensazione che dovevo provare a fare quello che da sempre era stato un mio vecchio pallino. Mi riferisco ovviamente all’ISEF. Terminato questo percorso, ho proseguito prendendo la laurea in scienze motorie (ISEF-IUSM) e successivamente ho proseguito la carriera universitaria, ottenendo la laurea specialistica in scienza e tecniche dello sport presso l’università di Tor Vergata a Roma.
Negli anni successivi, ho conseguito il patentino da allenatore Uefa B e quello di preparatore atletico professionista al centro tecnico di Coverciano.
Mentre completavo gli studi per il conseguimento della laurea in scienze motorie, ho iniziato la mia carriera di preparatore/allenatore presso la società
Orvietana, occupandomi del settore giovanile e collaborando in prima squadra con l’allenatore Carmelo Bagnato. Quell’anno finì con la vittoria del campionato di Eccellenza e l’approdo della squadra in serie D”.

Quanta influenza ha avuto, sul Fabrizio di oggi, l’esperienza al Tor di Quinto?

“L’anno successivo ho deciso che era giunto il momento di staccarmi dalla mia terra e, in concomitanza con gli studi per il conseguimento della laurea specialistica, mi sono trasferito a Roma ed ho iniziato a lavorare presso il Tor di Quinto. Penso che questa sia stata la mia grande fortuna; sono entrato a far parte di una società che mi ha formato dal punto di vista professionale, ma anche e soprattutto da quello umano e sociale. Da questo vivaio sono usciti tanti ragazzi che poi hanno avuto ed hanno una carriera professionistica  di grande livello: il più emblematico e’ stato sicuramente Marco Materazzi, ma sicuramente non l’unico. Di lì sono passati tanti altri ragazzi che adesso militano nelle massime serie nazionali, come Antei, Sforzini, Frascatore, Sini, solo per citarne alcuni.

Proprio a Tor di Quinto, ho poi conosciuto Paolo Testa, allenatore e uomo di una coerenza e dignità unica, con cui ho condiviso gli anni migliori della mia vita. Il destino maledetto lo ha sottratto alla vita terrena a soli 42 anni, ma, nonostante ciò, rimane l’allenatore di settore giovanile più titolato d’Italia. Insieme abbiamo
vinto una miriade di titoli regionali e siamo diventati tre volte campioni d’Italia. Non sono ancora riuscito a metabolizzare la sua scomparsa, ma è il suo ricordo che mi dà ogni giorno la forza e la consapevolezza di affrontare nel giusto modo ciò che  la vita mi pone davanti.”

Si emoziona Fabrizio quando parla di questa esperienza e del suo amico Paolo Testa e mi chiede di cambiare discorso, chiosando alla fine su come il Tor di Quinto sia stato comunque il suo trampolino di lancio, che gli ha consentito di arrivare dove è ora.

Per sdrammatizzare, ritorno su argomenti più tecnici e per lui sicuramente meno dolorosi.

Parlami del ruolo del preparatore atletico. A me sembra che, negli ultimi anni, questa figura abbia beneficiato di una grande evoluzione e di un’intensa rivalutazione. Sei d’accordo?

“La figura del preparatore fisico ha assunto in questi ultimi anni sempre maggiore importanza, questo perché i ritmi di gioco sono aumentati così come anche il numero di partite che si svolgono nell’arco di una stagione. Questi motivi, oltre che altre innumerevoli esigenze, hanno fatto sì che il ruolo del preparatore rivesta un’importanza primaria all’interno di uno staff. I principali compiti che un preparatore moderno deve assolvere vanno dalla somministrazioni di carichi di lavoro adeguati ad ogni singolo calciatore,  alla prevenzione dello stato di salute e benessere psicofisico degli stessi.”

Il Palermo è primo in classifica: inutile chiederti come stanno fisicamente i tuoi ragazzi. Quello che mi piacerebbe sapere è l’importanza che riveste per te il connubio tra le competenze professionali e il lato umano del calcio. In altre parole,  quanto conta, oltre alla tecnica, il saper far divertire il gruppo, unirlo e motivarlo, in vista del risultato finale?

A questa domanda, Fabrizio fa gli scongiuri e mi dice di toccare ferro – raccomandazione inutile; io tifo per lui sempre – e a me  viene la tentazione di fargli notare come, qualche anno fa, invece  di “toccare ferro”, avrebbe sicuramente usato un’espressione molto più colorita… Poi prosegue, molto diplomaticamente, sottolineando come

“l’importante è essere primi ad aprile/maggio. Per rispondere alla tua domanda, posso dire che sicuramente il calcio è un gioco che ha nel suo DNA diversi aspetti
ludici e quindi càpita la battuta scherzosa che fa bene allo spogliatoio. Per quel che concerne gli aspetti umani, soprattutto il preparatore e l’allenatore in seconda sono le figure deputate ad interagire con i giocatori; ricordiamoci che seppur “fortunati e privilegiati” sono sempre ragazzi di 20-30 anni e, come tali, vivono le loro problematiche legate a questa età. Per quel che riguarda le motivazioni, nel mio piccolo cerco sempre in ogni seduta di far capire loro quanta importanza abbia il
gruppo per il raggiungimento dell’obiettivo finale: solo se regna coerenza e condivisioni di intenti, si possono raggiungere certi risultati.”

Veniamo alla corte di Mister Iachini, della quale tu, da diversi anni, fai parte. Raccontami della vostra settimana-tipo.

“Con il Mister, ho vinto tre campionati di serie B – Chievo, Brescia, Sampdoria – e quindi ti posso dire che ci basta uno sguardo per capirci ed intenderci. La nostra settimana tipo prevede  una seduta con lavori di tipo aerobico alternati a lavori con palla a medio-alta intensità. Per verificare l’intensità dell’allenamento, utilizziamo principalmente i gps e cardiofrequenzimetri, che ci danno, i primi, una quantità incredibile di informazioni: velocità, accelerazioni, cambi di direzione e di
senso, potenza metabolica,ecc. Sono io poi che, una volta terminato l’allenamento, raccolgo i dati di ogni calciatore e li inserisco in un database,  in cui giornalmente riporto i dati. La seconda seduta prevede solitamente due sessioni di allenamento: al mattino si eseguono esercitazioni di forza muscolare, alternate a lavori tattici per reparti, mentre, nel pomeriggio, si lavora con la palla con esercitazioni ad alta ed altissima intensità. La terza seduta prevede solitamente una gara amichevole; la quarta e la quinta, invece, prevedono un abbassamento del volume di lavoro fisico, con esercitazioni di rapidità e reattività, ed un netto incremento degli aspetti
tattici in riferimento alla gara che si va ad affrontare.”

Gli infortuni, la croce di ogni allenatore. Quando pensi di aver trovato la quadratura del cerchio, ecco che arriva lui a rompere le uova nel paniere. Quali tecniche utilizzi  per cercare di prevenire, o quantomeno limitare, gli infortuni?

“La prevenzione degli infortuni non è semplice da realizzare, perché nel calcio ci sono degli aspetti imponderabili: contrasti di gioco, irregolarità dei campi, condizioni climatiche. Per ogni calciatore, viene realizzato ad inizio anno un check up, in cui vengono evidenziati problemi ed infortuni che si sono verificati nel corso della carriera. Una volta terminata tale analisi, in simbiosi con lo staff sanitario, si tracciano delle tabelle in cui compaiono gli esercizi da svolgere individualmente al fine di prevenire e salvaguardare la salute ed il benessere dei ragazzi. Secondo me, questo è uno degli aspetti più difficili da affrontare, poiché sono innumerevoli le dinamiche che  determinano un infortunio.”

E’ tanto tempo che giri l’Italia, da nord a sud. Il legame con il tuo territorio – che poi è anche il nostro – è ancora forte o, per forza di cose, si sta allentando?

“Nonostante vado su e giù per l’Italia, io sono e sarò sempre legato alle mie origini castiglionesi. Potrei coniare lo slogan “sono di Castiglione  in Teverina e ne vado fiero”; non potrebbe essere altrimenti. Lì ho la mia  famiglia e gli amici di infanzia, cui sono molto legato e, come posso, torno per incontrarli e passare qualche ora ricordando la nostra giovinezza. Quando vengo ad Orvieto, mi capita di passeggiare e sentire una voce che esclama “ciao Taffy quanto tempo e’ passato…”. E’ vero, è passato tanto tempo, ma sono felice di come questo sia trascorso.”

 

Mi lascia qui Fabrizio ed io, mentre metto insieme le mie domande e le sue risposte, penso che lui può anche allenare il Palermo  primo in classifica, che può anche rilasciare interviste al Corriere dello Sport e alla Gazzetta, può vincere i campionati più importanti, ma per me resta sempre il Taffy, il compagno mascalzone dell’ultimo banco. Daje, Fabri’!

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