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Shadow

La forza e l’energia senza la gravità: Marco Virgili e la scuola di danza Vertycal

Una scuola di danza, io, la troverei anche se mi trovassi nel bel mezzo di una città di quattordici milioni di abitanti e fossi bendata. Ma, oggi, mentre mi aggiravo tra capannoni industriali, supermercati e officine varie, pensavo che una zona artigianale potesse essere un posto alquanto improbabile per il ballo. L’immagine di un danzatore, che volteggia aggraziato, richiama alla memoria luci, luccichìo di specchi ed il caratteristico odore della pece, non certo opifici e attività commerciali.

Poi, ad un tratto, l’ho sentita. Ho chiuso gli occhi e l’ho seguìta. La musica. Non esiste una scuola di danza che ne sia priva, da cui la musica non traspiri dalle sue mura e si sparga intorno, inondando, come un olio benefico, tutto il mondo. Ed è così, che in un pomeriggio di sole, ho incontrato, nella sua scuola di danza Vertycal, Marco Virgili.

Mi aveva dato appuntamento nel tardo pomeriggio, al termine della sua ultima lezione della giornata. Mi sono presa la libertà di anticipare di qualche minuto il mio arrivo. E così, seguendo la musica, ho salito le scale e sono entrata. Una volta che sei lì, ti dimentichi di stare nel bel mezzo di una zona commerciale: oltre la musica e gli specchi, c’è il profumo dell’arte, scarpette rosa esposte, articoli di giornali, foto e attestati di partecipazione a stages, corsi e manifestazioni sono appesi ovunque.

Marco sta ancora facendo lezione alle sue allieve, alza la mano e mi saluta appena mi vede ed io decido di approfittare della sua ospitalità e mi accoccolo in un angolo da dove posso vederlo lavorare.

E’ giovane, Marco, ma certo tutt’altro che inesperto. Se non fosse per il suo fisico scultoreo e lo sguardo da ragazzino, lo si potrebbe scambiare per un vecchio insegnante dell’antica scuola del Bolshoi, tanto i suoi movimenti sono sicuri e la sua voce è ferma nel correggere le sue allieve e segnare loro il tempo. E invece ha solo ventisette anni. Si, vabbè, ventisette anni e già insegnante e con una scuola tutta sua…avrà cominciato a spezzarsi le gambe alla sbarra all’asilo nido… “No” mi dice Marco – forse con una nota di rimpianto nella voce – “ho cominciato molto tardi. A sedici anni. All’inizio, addirittura di nascosto.” La danza. La sua passione, scoperta a sedici anni e neppure confessata. Ma il segreto è durato poco, poco più del tempo di un sospiro, e poi Marco decide che quella è la sua vita, la sua strada e la vuole percorrere tutta. E se ne va da Orvieto, per studiare a Roma, allo IALS e alla Maison de la dance, dapprima l’hip hop, per poi convergere sulla danza contemporanea e sul modern jazz. Ha la fortuna di incontrare il famoso ballerino Steve Lachance, che l’ha, parole sue, “sequestrato”.

E’ lungimirante, Steve, e legge in lui il vero talento. Lo trascina in lungo e in largo per l’Italia, fino a farlo ad approdare allo Studio Harmonic di Parigi, dove Marco si è perfezionato e dove, adesso, da allievo è diventato insegnante.

L’insegnamento della danza, il suo vero sogno che si realizza, a Orvieto, dove c’è Vertycal, e a Parigi, dove si reca periodicamente a tenere stages: non solo ballerino, ma maestro e coreografo. E’ questo, dice, il regalo che gli hanno fatto i suoi mèntori, Steve Lachance e Roberta Fontana, “la capacità di trasmettere agli altri quello che a me piace del mondo della danza e soprattutto creare coreografie. Ogni giorno ne invento una”. Si addormenta con la musica ed, in sogno, realizza combinazioni coreografiche.

Al Vertycal, coadiuvato da altri professionisti, tiene corsi per tutte le età e tutti i gusti, dalla propedeutica alla danza per i bambini, all’hip hop, alla danza classica, modern jazz e contemporanea. “Sono un artista che insegna a sportivi che tendono a diventare degli artisti. Vedo nei miei allievi i miei stessi stimoli, la mia stessa voglia e la mia stessa grinta. Sono le muse ispiratrici delle mie coreografie.”  La prima parte dell’anno accademico è dedicata allo studio, la seconda parte alla preparazione di quello che lui, molto compitamente, chiama saggio, ma che in realtà è sempre un vero e proprio spettacolo “con un tema, un filo logico, con coreografie, musiche e costumi scelti in base a quello che il tema deve rappresentare”. E Marco è un accentratore, che, con lo scrupolo del perfezionista, si occupa da solo di tutta l’organizzazione, perché “odio delegare e lasciare il controllo agli altri”. L’unico rammarico che ha è quello di non essere finora mai riuscito ad andare in scena per più di una serata; gli sembra riduttivo concentrare il lavoro di quasi un anno in due ore di spettacolo e, tenacemente, si ripromette anche di raggiungere questo obiettivo.

“La danza è in continua evoluzione ed è necessario rimanere sempre aggiornati e non chiudersi nel proprio stile. Bisogna tendere  alla perfezione. Io vivo nel terrore di svegliarmi una mattina e non avere più nuovi stimoli”. Ed è per questo che Marco, lungi dal considerarsi arrivato, continua comunque a studiare danza.

Nel prossimo futuro, oltre allo spettacolo della sua scuola durante il mese di giugno, ha in programma, per luglio, stages a Parigi e, per la prima volta – lo dice con gli occhi che brillano di soddisfazione – a Strasburgo. Sussurra anche che sta valutando una proposta importante, che lo porterebbe all’estero praticamente per il resto della sua carriera, “ma sto vivendo un po’ alla giornata, pensando adesso al saggio di fine anno, per poi vedere ad agosto che succede. Il mio dispiacere sarebbe lasciare la scuola e tutto ciò che qui ho creato. Per ora non ci voglio pensare più di tanto, perché ogni giorno mi capitano nuove opportunità ed, a ventisette anni, non mi voglio privare di niente.”

Seduto per terra, parla con me e, contemporaneamente, continua a fare streching, tira i piedi, le gambe, allunga le braccia. Indossa ancora la tuta che ha usato per fare lezione e l’espressione soddisfatta di chi si sente realizzato da una vita fatta di duro esercizio e di sudore che imperla la fronte. Anzi no, i comuni mortali sudano; i ballerini splendono e tu, Marco, splendi come una stella…pardon, come un’étoile.

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